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ACQUA OSSIGENATA E MICRORGANISMI-LA LPOS- Liquid phase oxygen supply strategy
Il perossido di idrogeno da minaccia ad apportunità per i processi depurativi biologici.
DI COSA PARLIAMO?
La LPOS-Liquid phase oxygen supply strategy: l’acqua ossigenata dosata nei bioreattori come fonte di ossigeno
Cosa succede se il perossido di idrogeno (o acqua ossigenata, H2O2 ) che dosate finisce nel biologico?
Non è che uccidete tutti i batteri e non funziona più niente?
Proponendo dei processi di depurazione con modulo di ossidazione chimica avanzata (tipo Fenton like), che implica il dosaggio di perossido di idrogeno (o acqua ossigenata, H2O2 ) per degradare in modo efficace matrici inquinanti complesse, sento spesso sollevare da parte dei clienti questo dubbio.
Specie quando propongo il trattamento Fenton a monte del bioreattore esistente, per risolvere problemi di sovraccarico e intossicazione dell’impianto.
Timore legittimo, dato che l’acqua ossigenata è comunemente utilizzata come disinfettante per sterilizzare i batteri delle ferite…
In questo articolo affronterò il tema per illustrare come – invece – il perossido di idrogeno è utilizzato per incrementare/sostentare l’attività dei depuratori biologici mantenendo livelli adeguati di ossigeno disciolto.
Vedremo le reazioni di degradazione dell’H2O2, grazie alle quali viene generato ossigeno molecolare direttamente nella massa liquida, la loro stechiometria e un caso (e le sue risultanze ingegneristiche) in cui questa strategia è stata utilizzata con successo in un impianto petrolchimico.
Senza contare il fenomeno della cosiddetta “bio-stimolazione”..ma che vedremo in un prossimo articolo…
BUONA LETTURA!
INTRODUZIONE - FENTON E ACQUA OSSIGENATA
E’ ormai da più di un anno che collaboro con la Società IRIDE ACQUE SB srl di Parma per lo sviluppo dell’”EMER”, la tecnologia di AOP-(Advanced Oxidation Process) brevettata per il trattamento di acque reflue industriali e rifiuti liquidi speciali.
La tecnologia è stata denominata ”Enhanced Magnetic Heterogeneous Reactor” (da cui l’acronimo EMER), in quanto i reattori (al momento in 3 configurazioni per adattarli alle specificità dei diversi settori di applicazione), sfruttano il processo di ossidazione tipico della reazione Fenton, in questo caso catalizzata mediante un catalizzatore eterogeneo di formulazione brevettata e potenziato da campo magnetico da 12.000 Gauss.
Per chi volesse approfondire, oltre a contattarmi, può preliminarmente leggere alcuni brevi cenni introduttivi sul sito di IRIDE ACQUE.
Il metodo Fenton utilizzato nel reattore EMER è ormai riconosciuto in ambito scientifico come un modo conveniente ed economico per generare specie ossidanti in grado di trattare una molteplicità di rifiuti chimici. Ed è risultato anche un processo molto flessibile e resiliente: infatti, qualora non si riesca ad ottenere una mineralizzazione completa degli inquinanti organici, il processo porta comunque a decomporli in molecole più semplici, in modo da ridurne la tossicità e di aumentarne la biodegradabilità (favorendone, pertanto, la successiva ossidazione in processi biologici successivi).
Nel caso della tecnologia di IRIDE ACQUE sarebbe più appropriato parlare di un processo “Fenton-like”, in quanto il processo implementato presuppone l’utilizzo di un catalizzatore eterogenee al posto dei tradizionali sali di ferro disciolti nel bagno di reazione, tipici del metodo Fenton classico.
L’uso di questi catalizzatori, come dimostrato dalla letteratura e da numerosi studi commissionati dalla Società a primarie Università, comporta una riduzione significativa del ferro disciolto in soluzione, dato che rimane sostanzialmente in fase solida come minerale o come ione adsorbito, con conseguenti sensibili vantaggi derivanti dall’assenza di problemi legati alla concentrazione di cationi nelle acque trattate e dalla minor produzione di fango del processo.
Trattandosi di un processo “Fenton Like” nella reazione si utilizza perossido di idrogeno (H2O2), un forte ossidante la cui applicazione per il trattamento di vari inquinanti inorganici e organici è ben documentata in letteratura.
In particolar modo è molto utilizzato a scala industriale per la rimozione dalle acque reflue di contaminanti quali solfiti, ipocloriti, nitriti, cloro e sostanze organiche, o per la conversione di ossidi di zolfo e azoto allo stato gassoso nei rispettivi acidi.
Dato che però l’ossidazione mediante il solo perossido di idrogeno non è risultata sempre efficiente (in particolar modo i presenza di alte concentrazioni di contaminanti organici refrattari), nel metodo Fenton si attiva il reagente favorendone la decomposizione in radicali idrossilici (·OH), specie chimiche a capacità ossidativa più elevata (il loro potenziale Redox standard è pari a 2.80 V, contro il 1.7 dell’ H2O2 non attivato).
Uno dei timori che solitamente incontro quando illustro ai clienti della Società il processo studiato per risolvere i loro problemi è quello della tossicità del perossido sui processi biologici, esistenti o di nuova realizzazione a valle dell’ossidazione in EMER.
E’ infatti comune, specie quando andiamo ad applicare l’EMER per risolvere i problemi di sovraccarico e intossicazione degli impianti biologici esistenti, incontrare l’obiezione che eventuali residui di perossido possano inattivare la biomassa esistente nel bioreattore a valle del comparto (già solitamente scarsamente reattiva a causa dalla tossicità dei reflui industriali trattati).
Insomma, il dubbio dei clienti è che la cura da noi proposta possa essere peggiore della malattia per cui ci hanno interpellati.
Proprio per fugare questi timori ho voluto affrontare il tema dell’impatto del perossido di idrogeno in due articoli:
- in questo illustrerò la “LPOS” (Liquid phase oxygen supply strategy – strategia di trasferimento di ossigeno in fase liquida), una strategia ormai consolidata che implica l’utilizzo del perossido come fonte sostitutiva/integrativa dei normali sistemi di trasferimento di ossigeno negli impianti biologici di tipo aerobico
- nel successivo articolo, successivo ed integrativo, affronterò il tema della “biostimolazione”, un meccanismo naturale per cui i microrganismi, posti in condizioni di stress dalla presenza di acqua ossigenata nell’ambiente, producono un enzima degradativo per cui la loro efficacia depurativa, al posto di ridursi, risulta addirittura incrementata.
Chiunque voglia discutere/collaborare/approfondire può farlo nei commenti; se invece desiderasse l’articolo in formato pdf, completo dei riferimenti bibliografici, mi contatti con l’apposito modulo “CONTATTACI”.
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La LPOS, Liquid phase oxygen supply strategy
L’acqua ossigenata, ovviamente gestita in modo opportuno, non rappresenta un rischio per la biomassa di un bioreattore.
Addirittura, il perossido di idrogeno in soluzione acquosa viene utilizzato come mezzo per fornire ossigeno ai microrganismi, ad integrazione – e a volte in sostituzione – dei sistemi usualmente utilizzati per solubilizzare l’ossigeno nei bioreattori.
Questa metodologia viene comunemente denominata LPOS, Liquid phase oxygen supply strategy.
Spesso indicato anche col termine di “integrazione di Ossigeno Disciolto”, questo metodo sfrutta la reazione di decomposizione del perossido al fine di fornire ossigeno al reattore biologico, incrementandone la concentrazione generata dagli usuali sistemi ad aria o ossigeno liquido (quali diffusori a microbolle, miscelatori a turbina, flow jet etc…)
Nata come procedura di emergenza in caso di malfunzionamento dei sistemi di fornitura in dotazione al reattore biologico, ad esempio quando questi sono fuori servizio per un guasto e le reazioni di ossidazione e nitrificazioni rischiano di entrare in crisi non garantendo più l’efficacia depurativa necessaria, sono sempre più comuni applicazioni specifiche di questa tecnica, in particolar modo per applicazioni industriali su reflui altamente inquinati.
Le reazioni alla base del processo
Il metodo si basa sul fatto che quando viene aggiunto alle acque reflue, l’H2O2 naturalmente (o mediante processo catalizzato da enzimi) si decompone rapidamente, generando ossigeno direttamente nella massa di reazione, causando l’effetto positivo di innalzarne la concentrazione disciolta.
Dato che il perossido di idrogeno è altamente solubile in acqua; non vi è una stringente limitazione teorica alla possibilità di raggiungere una elevata concentrazione di ossigeno disciolto al bioreattore: fatto questo molto utile nei casi in cui il comparto biologico opera in condizioni di elevato carico organico.
Vi è da precisare che. sebbene il perossido sia relativamente economico e semplice da dosare, l’applicazione sconta un maggior costo operativo rispetto ai metodi tradizionali, in particolar modo per quelli che presuppongono l’utilizzo di aria come fonte di ossigeno da trasferire. Ancorché tale differenza tenda a ridursi nel caso in cui la fonte di ossigeno sia l’ossigeno liquido, la LPOS rimane ancora una metodologia utilizzata in emergenza o in applicazioni “speciali” (come quella che vedremo nel caso della raffineria Shell).
Come accennato i meccanismi di degradazione del perossido che portano al rilascio di ossigeno nella massa sono due, uno chimico, che avviene in tutte le condizioni, ed uno che avviene solo in presenza di microrganismi.
Decomposizione chimica
Il primo, prettamente chimico, consiste nella naturale decomposizione del perossido di idrogeno secondo la seguente reazione chimica
Decomposizione enzimatica
Il secondo meccanismo, ad integrazione del primo, avviene invece solo in presenza di flora batterica: consiste infatti in un’ulteriore reazione chimica di decomposizione del perossido a ossigeno catalizzata dall’enzima “catalisi”, un enzima appartenente alla classe delle ossidoreduttasi, coinvolto nella detossificazione della cellula da specie reattive dell'ossigeno. Poiché questa decomposizione enzimatica del H2O2 è estremamente rapida, l'ossigeno fornito dal perossido è immediatamente disponibile per l'assorbimento da parte degli organismi aerobici, con un’efficacia di trasferimento globale molto elevata.
Vedremo nel prossimo articolo, quello dedicato alla biostimolazione dei microrganismi con acqua ossigenata, che un vantaggio specifico di questa metodologia è il fatto che il perossido di idrogeno fornisce anche il potenziale di ossidoriduzione necessario per supportare il metabolismo aerobico di degradazione dei composti organici da trattare.
I bilanci di massa
Stechiometricamente, dato che due molecole di perossido di idrogeno (PM: 34,015 g/mol) danno origine ad una mole di ossigeno (PM: 32 g/mol), dosando un grammo di H2O2 si ottengono 0,47 g di ossigeno.
Ciò comporta che, in base alla concentrazione massa/massa di perossido, e tenendo in conto la densità della soluzione, ad ogni litro di acqua ossigenata dosata si ha l’apporto di ossigeno indicato in tabella.
Quindi, ad esempio, ad ogni litro di acqua ossigenata al 35% in peso, caratterizzata da una densità a 20°C di 1,13 kg/l, si ottiene un dosaggio teorico pari a 186 g di ossigeno.
UN CASO APPLICATIVO: la Shell Puget Sound Refinery
Abbiamo detto che la metodologia di dosare acqua ossigenata direttamente in un reattore biologico è da alcuni anni utilizzata con successo, ed in varie applicazioni: vedremo qui un caso applicativo su reflui petroliferi fortemente inquinati e biorefrattari.
Si tratta dell’applicazione della LPOS, avvenuta nel 2012 presso la Shell Puget Sound Refinery (PSR), un impianto di raffinazione integrato di March Point, vicino ad Anacortes-Washington.
L’impianto, dalla potenzialità fino a 145.000 barili di petrolio greggio al giorno, produce diversi prodotti petroliferi, tra i quali diversi gradi di benzina, olio combustibile, gasolio, propano, butano, coke di petrolio.
Il depuratore della raffineria
A servizio dell’impianto, per il trattamento delle acque industriali di risulta, è stato realizzato un depuratore composto dai seguenti comparti:
- un separatore API
- un DNF, flottatore ad azoto disciolto (dove l’azoto rimpiazza l’aria solitamente utilizzata per la flottazione al fine di scongiurare la formazione di miscele esplosive per i residui degli idrocarburi presenti nei reflui trattati)
- una vasca di equalizzazione (EQ)
- un bioreattore “Racetrack” di ossidazione a fanghi attivi, del tipo “a fosso”, con tre canali concentrici
- chiarificazione secondaria, con riciclo dei fanghi attivi (RAS) al bioreattore
- stagni di finissaggio, prima dello scarico
Lo completa una linea di trattamento dei fanghi attivi di supero (WAS) a digestione aerobica
Sebbene il bioreattore sia stato oggetto, nel corso degli anni, di diversi interventi di potenziamento, mirati a incrementare la capacità di trasferimento di ossigeno alla massa trattata, evidenziava ancora una forte limitazione nella capacità di aerazione, in particolar modo durante i picchi di carico.
Ciò comportava la generazione di emissioni maleodoranti (con energiche lamentele della popolazione residente nei pressi) e la necessità di equalizzare idraulicamente i carichi al fine di preservare il processo, con ingenti volumetrie a monte dell’impianto.
A causa di questi problemi operativi, nel giugno 2012, Shell PSR aveva ormai accumulato una quantità significativa (quasi 160.000 barili) di acque reflue “di picco” (che chiameremo nel seguito “stock”) ad alto contenuto di COD e composti dello zolfo ridotto (RSC, tra cui i R-SH, mercaptani con catena organica -R- legata al gruppo SH), generati durante i periodi di picco di lavorazione della raffineria.
Problematiche operative e sperimentazione della LPOS
I tentativi di dosare i reflui di stock, insieme a quelli normalmente prodotti e trattati dall’impianto di depurazione, a causa dell’insufficiente apporto di ossigeno fornito dai sistemi di insufflazione di aria, aveva comportato due problematiche critiche:
- l’inefficacia del processo ossidativo, dovuto alla bassa concentrazione di ossigeno disciolto, e conseguentemente il mancato rispetto dei limiti allo scarico dell’effluente
- la generazione di forti odori dovuti allo strippaggio dei composti dello zolfo ridotto (“RSC”). Essendo connotati da un forte odore sgradevole, anche a concentrazioni molto basse, la loro emissione in atmosfera ha ingenerato forti proteste da parte della popolazione circostante lo stabilimento.
Per far fronte a queste criticità, nell’ottobre 2012, Shell (proprietaria dell’impianto) ha avviato una sperimentazione a scala industriale per utilizzare la LPOS- Liquid phase oxygen supply strategy: in occasione del dosaggio dello “stock” al depuratore, ha inteso valutare l’efficacia del metodo per fornire ossigeno disciolto supplementare e ridurre la carica odorigena dei reflu.
Al fine di gestire il processo in modo ottimale, nel corso della sperimentazione i tecnici hanno modulato il tasso di dosaggio del perossido di idrogeno (27% w/w) in base al dosaggio dello stock nel bioreattore (ricordiamo, insieme a quelli normalmente prodotti dalle linee produttive), tenendo sotto controllo:
- il tempo di ritenzione complessivo
- la concentrazione di ossigeno disciolto in vasca
- il consumo di perossido “di base”, dovuto all’ossidazione dei solfuri presenti nei reflui stoccati. Infatti, in presenza di perossido, i composti con Zolfo ridotto subiscono le reazioni
[nell’ordine:
solfuri a zolfo, in ambiente acido/neutro
solfuri (a pH basico)
solfiti a solfati
mercaptani a disolfuri]
Risultati operativi
I valori della concentrazione di ossigeno disciolto (DO) rilevata nei tre canali del bioreattore, in base alla quantità di H2O2 dosata, sono riportati nel diagramma seguente.
Si può notare come le concentrazioni di ossigeno disciolto (DO) nei 3 canali (Outer-Middle-Side Track) siano correlate alla portata di H2O2 immessa nel bioreattore: indice che il perossido di idrogeno rappresenta la causa dell’incremento della concentrazione di ossigeno.
Nel prossimo diagramma, correlato al precedente, sono riportati i valori di
- COD in testa all’impianto (“COD into E.Q.”), dove avviene il dosaggio delle acque di stock, e quindi correlati alla quantità e qualità delle acque di stock dosate in aggiunta ai reflui industriali da trattare)
- COD in ingresso al biologico (“COD into bioreactor”)
- COD in uscita dai sedimentatori secondari (“COD out of N Clarifier”)
Come risultato del monitoraggio di DO nel bioreattore e del relativo adeguamento della quantità di perossido di idrogeno dosata al reattore, il COD effluente del chiarificatore è stato costantemente mantenuto entro i limiti consentiti, nonostante l’accentuata variazione nell’affluente del bioreattore.
Relativamente a quest’ultimo aspetto è infatti da considerare che, in termini generali, rispetto al normale flusso di reflui il dosaggio dei carichi di stock ha comportato incremento della concentrazione complessiva di COD influente del 15-30%, e dei solfuri totali variabile dal 100% fino al 2.400%.
I costi della LPOS
Come processista ed impiantista, un aspetto che considero sempre nella scelta di un processo sono i costi, sia in conto capitale (CAPEX, ossia investimenti) sia in termini di spesa (OPEX, ossia costi operativi).
Analizzando il report della sperimentazione, si riscontra che il costo medio totale (prodotti chimici, attrezzature di stoccaggio/manipolazione, servizi, etc )– a prezzi 2012 US – è risultato essere di 2.10 $/barile di refluo stock trattato (pari a 13.1 $/m3).
Come accennato si deve parlare di “costo medio a m3 di stock” in quanto, come raffigurato nel diagramma, vi sono state notevoli variazioni sia in termini di quantità sia di caratteristiche del refluo incrementale trattato; senza un sistema di controllo e gestione del dosaggio di perossido, regolato in base ai livelli di Ossigeno Disciolto in vasca, vi sarebbe stato il rischio di sprecare acqua ossigenata ovvero di dosarne in quantità insufficiente al sostentamento delle reazioni ossidative..
Ulteriore effetto positivo, in termini di CAPEX e di resilienza operativa dell’impianto nel suo complesso, c’è il fatto che Shell PSR è stata in grado di smaltire lo stock dei reflui di punta (160.000 barili) in soli trentasei giorni, senza odori e rispettando i limiti allo scarico, per un costo totale di US $ 350.000.
SUCCESSIVI ESPERIMENTI- il processo Fenton
Sull’onda dei risultati incoraggianti ottenuti, sono stati effettuati ulteriori esperimenti dosando in altri punti dell’impianto il perossido, da solo ed in combinazione con Cloruro Ferroso.
Quello che ritengo di maggior nota, è stato proprio questo dosaggio combinato di Perossido e Cloruro Ferroso (FeCl2), avvenuto tra il disoleatore API e il DNF.
In base alle seguenti reazioni
questa modifica di processo ha comportato i seguenti effetti (…tipici della reazione Fenton)
- Con l’aggiunta di FeCl2+H2O2 invece di ossidare direttamente i solfuri, si è ottenuta l’ossidazione del solfuro di ferro (FeS), producendo zolfo elementare (S0, precipitato inerte) e rigenerando ferro ferroso libero (Fe2+).
- Il ferro ferroso libero prodotto catalizza la reazione di H2O2 per formare il radicale ossidrile (OHo), ossidante molto più forte dell’H2O2, e per rilasciare ferro ferrico (Fe+3)
- Il radicale ossidrile è in grado di ossidare le sostanze organiche solubili, mineralizzando nel processo sia la fonte di emissione di odori, sia il COD e i VOC a valle dei DNF
- Il ferro ferrico, poi, neutralizza la carica e i materiali sospesi coagulano in fiocchi (“coagulazione”)
- L’aggiunta di flocculante (già normalmente utilizzato nel DNF) agglomera ulteriormente i fiocchi formatisi, incrementando l’efficienza della rimozione operata dal flottatore ad azoto disciolto
- L’HCl generato nella reazione abbassa leggermente il pH delle acque reflue, infatti il pH delle acque reflue dall’uscita API all’ingresso del DNF è sceso di 0,5/1,0 unità.
Conclusioni del caso applicativo
L’articolo esaminato conclude che il dosaggio diretto di H2O2 nel bioreattore ha permesso in modo sostenibile ed efficiente di
- garantire una fonte supplementare di ossigeno disciolto, risolvendo le situazioni di crisi causate dal carico eccessivo rappresentato dalle acque di stock
- ottenere l’ossidazione degli RSC (solfuri, solfiti e mercaptani) durante la flottazione, e prima che portassero a generare emissioni di odori nel comparto biologico a valle
- migliorare la rimozione di materiali organici solubili in olio (ad es. olio, benzene, toluene) durante la flottazione, prima che provocassero emissioni di VOC o comportassero un abnorme consumo di ossigeno disciolto a valle del flottatore
- ossidare anche i composti organici solubili a monte del bioreattore, consentendo di ridurre il carico complessivo di COD e gli impatti tossici o inibitori sulla biomassa
ACQUA OSSIGENATA E MICRORGANISMI: da pericolo ad opportunità
Siamo partiti dal timore, intuitivamente legittimo, che un eventuale flusso di acqua ossigenata (residuo nel caso del trattamento Fenton effettuato prima di un bioreattore), possa rappresentare un rischio mortale per i microrganismi di un reattore biologico.
D’altronde l’acqua ossigenata è a tutti nota come antibatterico perché di uso comune proprio per la disinfezione delle ferite…
Dall’analisi della produzione scientifica, supportata non solo da esperimenti a scala di laboratorio ma anche da test a scala industriale, abbiamo invece osservato come il dosaggio di perossido di idrogeno non solo non comporta danni alla flora batterica di un depuratore biologico, ma altresì consente di incrementare la quantità di ossigeno nel sistema, permettendo di far fronte a criticità puntuali o strutturali degli impianti.
Se poi al perossido di idrogeno si combina un sale ferroso (nel caso della raffineria Shell) allora si potenzia il potere ossidativo del reagente secondo la reazione Fenton, ottenendo una notevole efficacia nella degradazione dei composti inquinanti organici e dei composti ridotti dello zolfo.
Sali di ferro, per inciso, che nella tecnologia EMER-Enhanced Magnetic Heterogeneous Reactor di IRIDE ACQUE SB non devono essere dosati in quanto residenti nel catalizzatore, di formulazione brevettata, con ulteriore incremento dell’efficienza del processo.
In questo articolo mi sono limitato a illustrare il solo aspetto della degradazione dell’acqua ossigenata, con formazione e trasferimento di ossigeno alla massa in reazione e formazione di radicali ossidanti (inorganici) molto reattivi.
Nel prossimo articolo affronterò un altro fenomeno, che si instaura quando il sistema è caratterizzato dalla presenza di microorganismi: la biostimolazione e la produzione di enzimi specifici che catalizzano la degradazione extra-cellulare degli inquinanti organici (invito a iscriversi alla newsletter, per ricevere subito l’avviso della pubblicazione dell’articolo).
Chiunque voglia discutere/collaborare/approfondire può farlo nei commenti; chi desiderasse l’articolo in formato pdf, completo dei riferimenti bibliografici utilizzati, mi contatti mediante l’apposito form “CONTATTACI” sui sotto.
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